“L’arte giovane e vecchia vennero ieri a battaglia”
Colpi di scena a Milano in attesa dell’Esposizione Nazionale del 1881
Sfogliando i libretti degli azionisti della Società per le Belle Arti di Milano (1844-1882), piccole pubblicazioni di uguale formato a cadenza annuale, avvolte in sottili copertine di carta dai colori variegati, con l’elenco dei nomi di tutti gli associati in regola con la quota di iscrizione e quindi autorizzati a giocare la sorte nell’aggiudicarsi una delle opere d’arte acquistate dalla società alle mostre di Brera, il nostro occhio si sofferma sul 1880.
Un anno, questo, in cui, a differenza di tanti altri, gli acquisti sociali, stabiliti come sempre dalla “Commissione per gli Acquisti”, costituitasi internamente alla società per voto degli associati poco prima dell’apertura dell’esposizione braidense, quindi rinnovata ogni anno, sono limitati a nove tra dipinti, sculture e acquerelli eseguiti da autori differenti, non necessariamente soci, presenti con le loro creazioni artistiche all’unica esposizione a cui, da statuto, la Società per le Belle Arti potesse attingere per scegliere i capi d’arte da acquisire.
Questa associazione, nata a Milano a metà Ottocento sull’esempio di altre consorelle italiane e straniere con l’intento di agevolare il mercato artistico contemporaneo e di implementare il collezionismo, è stata definita da Chirtani, anagramma dietro cui si celava il pittore e critico d’arte Luigi Archinti, «l’istituzione la più democratica e conforme alle idee moderne», rimarcandone, sulle colonne del “Corriere della Sera”, la semplicità del suo funzionamento: «è composta di soci che pagano un tanto a testa, compera dei quadri e li distribuisce tra i soci a sorte; i soci mettono fuori quattrini, gli artisti danno quadri, statue disegni, pari e patta, nessuno deve nulla all’altro, l’artista sta a pari con la società, o tutt’al più può lagnarsi di essere pagato un po’ troppo a buon mercato, il socio favorito dalla sorte gode il suo quadro; il mecenatismo non ci sta a che fare, è un affare bilaterale nel quale la dignità di tutti è soddisfatta».
In realtà, oltre agli artisti insoddisfatti dell’esito della contrattazione economica, ci furono sicuramente anche dei casi di soci scontenti dell’operato della commissione per gli acquisti. In effetti, la presenza tra i suoi sei membri – tre soci artisti e tre amatori – di alcune menti acute, capaci di cogliere e di premiare l’evoluzione creativa degli artisti, era essenziale per garantire che l’operato della società rimanesse al passo con i tempi segnati da continui vorticosi cambiamenti. Si pensi ad esempio alla felice intuizione dell’imprenditore e collezionista d’avanguardia Giovanni Battista Torelli, detto Titta, membro della commissione per gli acquisti della Società per le Belle Arti per l’anno 1879, davanti a Il coro di Sant’Antonio di un giovanissimo e ancor sconosciuto Giovanni Segantini alla sua prima esperienza espositiva a Brera.
Tuttavia, la medesima commissione aveva compiuto un’imprudenza, da cui si era dissociato solo Torelli, acquisendo il dipinto di Ferdinando Brambilla Un mercato di schiave al Marocco, per la bellezza di 10.000 lire, una cifra esorbitante per quell’epoca, che andava a svantaggio di altri autori le cui opere erano rimaste in gran parte ferme a cifre tra le 150 e le 800 lire.
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