Marco Pedroni nasce nel 1945 a Verbania sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, che diede già i natali a quello “scapigliato” di Daniele Ranzoni.
Studia a Milano dove frequenta il Liceo Artistico di Brera e l’omonima Accademia alla Scuola del Maestro Mauro Reggiani.
Il rigore stilistico dell’astrattismo geometrico del Maestro permea le opere di Marco Pedroni, non solo nell’attività meramente artistica, ma anche in quella professionale. Soprattutto nella sua attività di Designer si delinea uno stile che ricerca purezza nelle forme e nelle linee.
Attorno agli anni Novanta l’Artista avverte l’esigenza di sperimentare un nuovo “linguaggio” meno razionale e progettato, ma più spontaneo e immediato, nasce una conflittualità interiore che si evidenzia attraverso una serie di opere dal titolo emblematico “Apollo e Dioniso”, esposte in varie mostre a Milano.
La progettazione di prototipi e modelli, la manualità innata, l’amore per la meccanica inducono Marco Pedroni all’utilizzo del Ready Made, invenzione Dadaista, per realizzare oggetti curiosi e ironici. A questo proposito è significativa la mostra “Rubinetti di Luce”, nel 2000 presso la Società Umanitaria di Milano, nella quale, l’artista assembla elementi idraulici e parti meccaniche di biciclette per realizzare lampade da terra e da tavolo.
Scenari sospesi, labirintici.
Piccoli oggetti e linee di tessuto sembrano indicare una strada.
Una via a volte vacillante, sospesa su un filo, in equilibrio precario, altre volte fortemente strutturata e percorsa da oggetti che ne indicano o impediscono il passaggio.
Marco Pedroni nelle sue opere sperimenta con la materia, rendendola di volta in volta propria, tangibile, scultorea, profondamente emozionale.
L’arte è sempre stata al centro dei suoi interessi, fin dagli studi liceali, proseguendo per quelli universitari.
Un’arte che inizialmente era influenzata dall’astrattismo geometrico del maestro, Mauro Reggiani, ma che in seguito, dagli anni novanta in poi, va slegandosi da forme geometriche, verso una ricerca coloristica e poi materica.
Così l’artista si affranca da uno stile fatto di perfezione di forme pure avvicinandosi all’informale.
Se negli anni settanta le sue opere sembravano rimandare a quelle degli artisti aderenti al movimento Arte Concreta (Reggiani, Monnet, Dorfles), alla fine degli anni novanta il colore si allontana dalla forma e irrompe sulla tela con tutta la sua forza, sulla scia delle opere di Piero Dorazio; quel colore poi prenderà forma, consistenza, diventerà materia.
Il suo è un modus operandi non facilmente etichettabile poiché all’interno dei suoi quadri coesistono svariate tendenze: gestualità, matericità, ready made, ricerca di spazialità.
Marco Pedroni dal 2003 si dedica anche alla realizzazione di oggetti design, realizzando particolari e suggestive lampade utilizzando elementi metallici uniti tra loro: rubinetti, pistoni, tubi: elementi industriali slegati dalla loro originale funzionalità per assurgere una valenza estetica.
L’arte di Marco Pedroni è fatta anche di momenti di pausa, riflessione, domande.
Quale spirito prevale nell’artista? Apollineo o dionisiaco? Nascono così dal 2008 una serie di opere, fatte di griglie geometriche, di quadrati tracciati liberamente col colore; in alcune di esse c’è una frattura, un vuoto, da cui emerge uno spazio altro, grigio, che va scontrandosi con la brillantezza della geometria del reticolato intorno, come una guerra tra forze opposte, alla ricerca di un’armonica stabilità.
L’ artista nelle sue ultime opere, realizzate tra il 2012 e il 2016, inserisce sacchi di iuta strappati, collocati in vari punti del quadro, da cui fuoriescono alcuni fili che si aggrappano al bordo superiore o inferiore della tela formando linee oblique.
Su quei sacchi compaiono parole come” Nicaragua”, “60 kilos”; “Caffè do Brasil”; ossia le località da cui proviene il caffè e il loro peso.
Guardando queste opere sembra di viaggiare intorno al mondo, assaporando il profumo tostato dei chicchi di caffè.
Dietro quei sacchi, che somigliano a volte a lingue di terra riemerse, si intravedono luoghi, si sognano nuovi universi, si immaginano il rumore del mare, il brulichio degli insetti nei campi assolati, il frastuono e il disordine di lontane città.
I Fili dei sacchi sembrano a volte dei ponti tra un paese e l’altro, altre volte paiono formare sentieri da seguire, strade tortuose da percorrere, in mezzo a spazi sconosciuti fatti di colori evanescenti, di pezzi di giornali con titoli che riaffiorano lentamente da un passato ormai dimenticato, testimoni di una storia sbiadita.
Guardando queste opere, ci verrebbe da paragonare Marco Pedroni ad un artista come Alberto Burri per i sacchi di iuta e per la materia corposa, a Rotella per i giornali strappati e infine Maria Lai, perché a volte le sue opere sembrano quasi dei delicati ricami.
Marco Pedroni in realtà inserisce la iuta nei suoi quadri semplicemente perché quelle lettere sui sacchi richiamano all’interesse e al lavoro per il design e per la grafica. Non è la materia consunta, vissuta, strappata a un passato di guerra e desolazione che ci rappresenta Burri.
Marco Pedroni da buon artista generoso, lascia spesse volte in luoghi deputati all’arte piccoli quadretti realizzati con oggetti comuni: pettini, mollette, palline da ping pong, che uniti creano piccoli paradisi giocosi; in altri casi utilizza ancora la iuta, arricchita però con pietre colorate.
La materia e il colore nelle opere di Marco Pedroni sono sempre in trasformazione, in evoluzione.
Il colore si muove, si dilata nello spazio, poi si restringe di colpo, i chicchi di caffè ritornano spesso prepotenti, monumentali, finemente realizzati anche solo con il colore steso su più strati, tono su tono.
Così Marco Pedroni continua a creare e, tra quadri di grande formato e piccoli doni per trovatori fortunati, fa viaggiare lontano la nostra mente con la poesia dei colori e con la forza plastica della materia.